PIAN DEL CROGNOLO

FILOSOFIA

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Un viaggio è una rampa di scale.
Ogni scalino è un punto di osservazione, una nuova prospettiva, uno spiraglio, una nuova angolazione da cui ammirare la realtà.
E anche quando si torna indietro, ripercorrendo passo passo le orme lasciate all’andata, il mondo è cambiato. Anche se la fisicità è la stessa, gli occhi sono nuovi.
Essere un viaggiatore significa percorrere mille gradini al giorno e assorbire il sapore della terra conoscendo il punto d’inizio ma non quello d’arrivo.
E questa storia ha inizio dal primo passo.
Il viaggiatore si nutrì di paesaggi nuovi, di conoscenze diverse, tastando con mano tradizioni e usanze, gustandosi albe e tramonti.
Ogni giorno con un diverso spirito, più completo, come un mosaico cui mano a mano si aggiungevano nuove tessere.
Allora non fu un semplice viaggio. Fu un percorso nel quale ogni tappa rappresentava un regalo, un bagaglio da trasportare verso una nuova meta, alla ricerca del punto esatto in cui affondare le radici e comporre il mosaico della propria vita.
Quando raggiunse Pian del Crognolo, il viaggiatore sentì che il proprio percorso era giunto alla fine e piantò nella terra il seme di tutte le conoscenze che fino a quel momento aveva colto.
Oggi sopra quel seme cresce un albero che dà nuovi frutti, nutrito da coloro che in Pian del Crognolo hanno posto la loro dimora.

 

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Le storie del crognolo

IL DOMATORE

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Il viaggiatore fermò i piedi sulla radice di una quercia e fece un mucchio di foglia su cui riposare. Un giaciglio di scricchioli che il buio avvolgeva in un velo di sonno.
-Chi va là?- chiese il viaggiatore verso un’ombra che si nascondeva nel velo.
Un colpo di vento e un fruscio di foglie trasportarono un sussurro.
-Chi c’è?- tese l’orecchio.
L’ombra di un uomo si fece avanti a passi lenti e precisi, sorreggendo una sedia per lo schienale, a tener lontano ciò verso cui si avvicinava.
-Sono un domatore- sussurrò oscillando la sedia.
Il viaggiatore impiegò i sensi a localizzare il leone, l’orso, la tigre bianca, il maestoso elefante cui regalare noccioline. -Chi addomestichi?- chiese con occhi impazienti.
L’ombra fu avvolta da una nuvola di luci vorticose. Minuscole ondeggianti candele cinesi.
-Lucciole?- sorrise il viaggiatore.
Il domatore lo trafisse con uno sguardo fiero. -Devi saperle controllare per muoverti nella notte-.
Il viaggiatore sollevò una lampada a olio e l’accese con un fiammifero.
-Ti pensi furbo- scosse il capo il domatore. -A ogni luce fa eco l’ombra. Se non sai controllare la luce, il timore dell’oscurità camminerà al tuo fianco-.
Con un potente soffio il domatore spense la lampada a olio. -E ora?-.
Il viaggiatore allungò la mano verso di lui, strinse la sedia e la sollevò sopra il capo, scatenando il bagliore delle lucciole.
-Controllerò la luce e vivrò senza paure-.

 

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IL GIOCOLIERE

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Un giocoliere viaggiava lungo il sentiero in assorta concentrazione. Proseguiva sul monociclo, un giro di ruota dopo l’altro, senza osservare le curve, i sassi e le screpolature della terra.
Il viaggiatore lo guardò passare. Lanciava le sfere con la cadenza esatta di un direttore d’orchestra, e gli occhi fissi nel vuoto, verso l’orizzonte.
-Buongiorno- salutò il giocoliere dandogli l’occhio per un istante infinitesimo.
Il viaggiatore sbadigliò un cenno, ipnotizzato dal replicante metodo. Che noia, pensò nell’esatto istante in cui una pallina scivolò dalla mano esperta e cadde a terra. Il viaggiatore si chinò e la raccolse. -Fermati- disse, ma il giocoliere era già lontano e premeva sui pedali con la regolarità con cui era venuto.
Il viaggiatore lo rincorse e gli offrì la sfera colorata. -L’hai perduta-
-Fa parte della vita- disse quello, -devo lasciarmi alle spalle quello che mi sfugge di mano-.
Il viaggiatore lanciò la pallina in aria e la riafferrò stringendo il pugno. -Che ne posso fare?-
-Forse prima o poi ti sarà utile-.
-Ti ringrazio- sorrise il viaggiatore, -ne farò buon uso-.
Una lacrima solcò la pelle sul volto bianco di trucco del giocoliere. -Un giorno, quando ti sembrerà di non poter vivere senza, ti scivolerà di mano, e dovrai affrontare la scelta più difficile-
-Quale?-
-Confidare nell’incertezza del domani o affidarti alle briciole di ieri-.
-E come saprò qual è la scelta giusta?-
Il giocoliere asciugò la lacrima con il polsino. -Fa’ che la tua, sia la scelta migliore-.

 

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L’EQUILIBRISTA

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Camminava sospeso a mezz’aria sorretto da una tela di ragno che solo il riflesso del sole rivelava allo sguardo. E proseguiva avanti e indietro su un unico filo, con movimenti fluidi e continui, senza perdere concentrazione, avulso dalle bocche aperte degli spettatori. Il viaggiatore era lì, immerso nella folla come un indistinguibile grano di ghiaia, e stringeva gli artigli nella terra umida.
L’equilibrista lo vide, con occhio fine come la ragnatela su cui si reggeva.
-Vieni- disse porgendogli la mano.
Non sono capace.
L’uomo si sedette sul filo a gambe incrociate.
-Credi sia difficile?
Il viaggiatore annuì. Trovare il baricentro in quell’esatto punto, grande quanto uno spillo.
-È come vivere, in equilibrio tra quel che è stato e quel che sarà. Sei sospeso. Ogni giorno, ogni ora, ogni istante in cui senti la vita scorrere nelle tue vene-.
L’equilibrista si alzò, senza la minima fatica, e gli porse ancora la mano.
-Sei sempre stato in equilibrio, ma non te ne sei mai accorto-.
-Ho paura di cadere– confessò il viaggiatore con voce ricca di vergogna.

-Ma non hai paura di vivere.
Il viaggiatore strinse il suo braccio e salì sulla ragnatela. E da lì vide le bocche aperte di coloro che affondavano gli artigli a terra, appesantiti dalla paura.
E posato sul quel filo si sentì libero e leggero. In equilibrio senza il minimo sforzo.

 

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L’ACROBATA

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Nel centro del villaggio due acrobati volteggiavano nel cielo come due usignoli. Si afferravano per i polsi dandosi lo slancio sempre più su, fino a sfiorare il sole. La gente li osservava sobbalzando in un sussulto quando una presa malriuscita rendeva più reale il rischio.
-A cosa si sorreggono?- chiese il viaggiatore a un uomo tozzo e barbuto.
Quello arricciò le labbra. Non si vedevano reti, né corde, né trapezi.
-Che qualcuno li avverta- bisbigliavano i paurosi confidando nel buon cuore di un uomo dalla voce grossa.
Giunti nel punto più alto di tutto il cielo, gli acrobati allungarono la mano, afferrarono alcuni granelli di polvere e con la loro danza d’amore scesero verso terra, accolti da uno scroscio d’applausi. La folla si accalcò curiosa di sapere il trucco, e si disperse veloce quando gli acrobati si schernirono di loro. -Non c’è alcun trucco- confessarono.
-E come riuscite a raggiungere il cielo?- chiese il viaggiatore.
L’acrobata gli porse la mano. -Te lo mostro-. L’uomo barbuto al suo fianco fece un passo indietro.
-È come in Peter Pan. Basta un pensiero felice-.
Il viaggiatore ricordò gli incontri fatti lungo il cammino e ne immaginò di nuovi, ricordò il sole dell’alba e del tramonto, il rumore fresco dell’aria del mare. Quando aprì gli occhi era immerso nella polvere, e osservava l’uomo barbuto come un puntino in lontananza.
-Hai paura?- gli chiese l’acrobata, al suo fianco.
Il viaggiatore scosse il capo e si abbandonò a un sorriso. La bellezza della semplicità, e la semplicità della bellezza, era tutto ciò che gli serviva per sentirsi al sicuro.

 

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IL CAPO CIRCO

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Con un urlo baritonale il capo circo chiamò tutti a sé. Bambini, giovani e anziani si sedettero in cerchio, trascurando le loro attività, e ascoltarono con attenzione il racconto della sua carovana.
-È sempre un viaggio- iniziò toccandosi il cappello. -Dal primo vagito fino all’ultimo respiro, dalla prima corsa all’ultimo passo-.
Il viaggiatore ascoltava in silenzio.
-Camminiamo nel mondo come molecole d’acqua nel mare, trascinate dalla corrente. Siamo particelle d’aria in balia del vento, granelli di sabbia nel deserto-.
Il viaggiatore si alzò e porse la mano al bambino che gli era seduto a fianco.
Il capo circo smise di parlare e lo mise a fuoco con occhi neri, concentrando su di lui l’attenzione fastidiosa di un riflettore.
-Su, forza- disse il viaggiatore al bambino facendogli segno di alzarsi. Il piccolo restò con le gambe incrociate e cercò negli occhi del capo circo il permesso di andarsene. -Non gli devi nulla, non farti condizionare-.
Il capo circo sollevò il labbro superiore in una smorfia di risentimento. Nessuno aveva mai interrotto la sua storia, nessuno aveva mai abbandonato il suo posto prima che la parola fine fosse pronunciata.
Il viaggiatore mantenne gli occhi ancorati al terreno. -Alzatevi, granelli di sabbia-.
Vicino a lui, un uomo che era rimasto solo al mondo e non aveva nulla da perdere si sollevò. Altri ne seguirono l’esempio e la folla si divise a metà. Coloro che erano seduti puntavano gli occhi sul capo circo, riponendo nel suo ridicolo cappello a cilindro il loro bisogno d’approvazione, gli altri scrutavano il viaggiatore con occhi liberi.
-Non è uomo chi non ascolta la conclusione del racconto- lo sbeffeggiò il capo circo.
-Forse hai ragione, siamo solo molecola d’acqua– rispose il viaggiatore sollevando lo sguardo. -Ma non permetterò a nessuno di essere mare-.
Allora l’astio che il capo circo provava nei suoi confronti si dissolse e sentì sciogliersi in un sorriso il risentimento che aveva dipinto sul volto. Si avvicinò al viaggiatore, si tolse il cappello e glielo poggiò sul capo.
-Guidali altrove- disse.
Il corpo del capo circo si dissolse in una nuvola argentea che lasciò un retrogusto dolce sui palati.
Il viaggiatore prese il cappello tra le mani, lo regalò al bambino e iniziò a camminare. E nonostante non avesse nulla che lo distinguesse dagli altri, la gente iniziò a seguirlo.
Dal primo vagito, fino all’ultimo passo.

 

 

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